La Flussa




Disegni di Judith Sideri




Canto all'antica
in sibemolle minore
per ragù e orchestra



Bolle il brodo e borbottano gli aromi


e si mescolano odori e ricordi 


e immagini e penne e parole


tra i peli ormai bianchi


della mia barba.


Sanno di desiderio, il mio, 


mentre il tuo vissuto


canta nelle cucine


in cui giocavi coi tuoi 


sei fratelli tra una risata 


e un rimbrotto della rezdora.



Io non lo so, anzi lo so


cosa ti ha reso muto;


non so, anzi lo so, 


cosa mi ha reso ciarlone. 


E so che ciò che mi ferisce 


ora ti ferì allora, papà. 



E scusami,


se ho aggiunto bacche di ginepro 


ai tuoi ragù, ma i miei boschi 


si insinuano ovunque.


Sono i sentieri che ho percorso 


per allontanarmi da te,


le vie che ora 


mi riportano a te.

E il merlo di cui tu


imitavi il fischio


canta sul mio balcone a ogni tramonto.



Ci toccheremo finalmente


le mani sotto un larice, papà,


e forse mi tirerai come allora


una pigna, e fingerò


come allora di rimanere ferito 


per farti avvicinare


e ti lancerò un fungo,


come allora, 


e lo guarderai stupito,


e come allora urlerai


"ma l'è un porcino, boia d'un mond leder".



E rideremo,


promettimi che rideremo. 


E non ci sarà più spazio vuoto


tra i nostri silenzi. 


E si farà lieve la distanza


che ci ha sempre unito. 



Dimmi che sono un buon figlio


anche tra i ginepri dei miei ragù.


Ho bisogno della tua benedizione


col calore delle pelli sotto il Talled,


che pareva una capanna


e noi figli ridevamo piano,


mentre dentro di me vibrava


una voce antica


con l'accento della tua Modena. 



Sentivo la flussa,


il flusso di trasmisisone 


al femminile, tra maschi,


e la tua voce che diceva


"Mo dai ragazzi", e lo so


che ridevi anche tu,


perchè la flussa è ilare. 



L'abbiamo vissuta a fondo 
quella flussa,


papà, che sa di ragù


e di un'Emilia che conosco poco


ma che sento mia come un tocco


di parmigiano coi chicchi d'uva. 



Una flussa ilare agita


le acque profonde 


di un passato millenario


e poi emerge su


in superficie 


e ti innlaza tra salmisti e ragù ,


tra il Cantico dei Cantici


e lasagne spirituali,


tra Berachot antiche e i tuoi


"L'è mo lè mo lè il vino".


La flussa ha giocato con 


le mie gote di bambino,


mi ha irrorato i capillari


di profumi di brodi e ragù. 



Tu temevi che quel mondo 


andasse perduto tra 


i miei rifiuti


da adolescente ribelle.



Sbagliavi papà, 


hai sottovalutato la flussa. 


Nulla del tuo mondo è andato perso.


Nulla davvero. 


Ho solo dovuto fare spazio,


eliminare le malerbe dal campo,


arare in profondità il terreno


per farla tornare in superficie. 


Ho estirpato rami secchi e sterpaglie


per tenerla viva, la flussa, papà.


Ho la dura cervice del nostro popolo,


papà,


e la spalla forte e la mano callosa


del coltivatore diretto.


Ora la flussa rigoglia e borbotta.




An stà mai zitta daboun la flussa.



E odora di ragù,


e di mani vissute che carezzano


un volto ancora imberbe 


con impacciata tenerezza 


e ha il suono vibrato


la flussa, papà, 


d'una voce emozionata


che sussurra, perchè mamma non senta,


"oramai hai tredici anni e


un po' di pane nel mio vino 


lo puoi inzuppare anche tu".



























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