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Visualizzazione dei post da dicembre, 2023

(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 27 - Qualche riflessione sulla parola

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  di Sergio Daniele Donati L'anno nuovo è appena cominciato - come un neonato lancia i suoi primi vagiti - e mi ritrovo in mano riflessioni che datano qualche decennio.  La parola che riflette sulla parola stessa  in fondo è il più antico e folle dei paradossi, ciò che ci dice, senza mezzi termini, che dal logos non siamo strutturati per uscire, se si escludono alcune esperienze contemplative estreme, e il pensiero si struttura attorno al linguaggio.  Pensando parliamo e parlando arricchiamo il nostro vocabolario cognitivo e cogitante.  La parola struttura il pensiero - e non il contrario ( 1 )  - e il campo su cui ci muoviamo e, molto più spesso, inciampiamo come poeti e amanti della parola, va esplorato con la cautela del cercatore di tracce, nei boschi. Un bosco pieno di insidie che cozzano inesorabilmente con frasi da noi apprese e ripetute, come slogan.  Le ascolto spesso proclamate  a macchinetta anche dalle menti che io considero più fini, quasi a voler trovare consolazione

Un sogno che torna

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Sta là, nel riflusso azzurro, un timido riflesso d'opale d'un passato che batte  e chiede alle mie tempie nuova vita nella parola. Eppure taccio e lascio che emettano lemmi  in lingua arcana i midolli dell'alterità. Mi faccio pietra, ove coricare il capo e lasciare che il sogno mi insegni il riparo all'ombra di una scala angelica. I cori li lascio a un credo che poco mi appartiene. Vengo da una storia di silenzio e so bene che il canto, se esce sgraziato  dalla mia ugula, altro non è che imitazione d'una melodia   che qui si tacita. O forse è coperta  di finta eccellenza sull'ansia bambina per non aver mai avuto  completa coscienza dei miei passi zoppi nel deserto sacro delle origini. _______ Testo - inedito 2023 - di Sergio Daniele Donati 

Cinque poesie inedite di Giusi Busceti

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  ______ Trafitta per Giuseppina Giordano Sono venuta io al capezzale oscuro che la finestra poca luce vede. Papà è un ragazzo, è fuori con gli amici, le sorelle aiutano in negozio, il fratello non sa neppure che lui presto morirà, il vecchio altero è distante. La scala scricchiolante e tu in bianco e nero, ignota nonna consunta come nella foto. L’ho guardata, bambina negli inverni sgranati: sola tu ombra tra gli specchi rispondevi occhi spenti la chioma ancora nera logorata dal cobalto, la pelle spoglia. Quelle parole io le ho indossate all’incontrario, le ho sfogliate fino a te, millenovecentodieci: qui ora sola come all’acqua, quel giorno alta fiera giovane gardenia candida al lavatoio spremi schiuma ma il bosco alle tue spalle di colpo si rovescia contro il suolo O lunga veste intima trafitta io mi strappo con te. No, no’u vulíva, idda! Freme, papà che chiama padre quel ramo unghiato - ma la campana del paese intero copriva la tua voce ha detto il Sì. In quell’ombra ho capito: il f

Estratto dalla raccolta inedita "Elaborazione di un lutto" Ornella Mereghetti, con breve ante-nota di Sergio Daniele Donati

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  L'AUTRICE - RITRATTO La Poesia deve dar spazio al dolore, alla ferita e alla sofferenza? E, se sì, in che modo la scrittura può divenire strumento di elaborazione?  Sono domande antiche che trovano risposte con declinazioni diverse, a volte persino opposte, ma che, in ogni caso, devono tener contro del dato primario della libertà di ogni parola.  Personalmente non credo che la scrittura in sé sia per forza un veicolo di elaborazione di alcunché, eppure lo diventa se è accompagnata da una spinta silenziosa al movimento. Lo so sembra un paradosso ma, perché la scrittura possa aiutarci ad elaborare, non basta saper scrivere - altrimenti la nostra diviene una semplice de-scrizione. È necessario, prima e durante e dopo la scrittura, sapersi ascoltare a fondo. Solo così il balsamo della scrittura diviene elaborazione e lenimento.  Ogni ferita si sutura col filo sottile dei lemmi solo se - e a patto che -  si sia in grado di ridare a quel filo fatto di suoni ogni sua potenzialità. In al

Altérité (alterità)

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Foto di Sergio Daniele Donati C'était toi  - ne l'oublie pas - qui m'as appris à ne pas fermer les yeux sur l'alternance  des contraires. Et, quand tu me promets la terre, je sais bien qu'en même temps tu me refuses le ciel. Tu es surpris que je ne sache pas encore comment vivere à l'intérieur d'une pensée raréfiée Mais mon ventre n’a pas été créé en forme d’alambic. Comment peux-tu me demander de pouvoir saisir le message de tes gouttes pures et sacrées, alors que tu m'as donné une terre au même moment que tu m'as volé le ciel? Mon visage est ridé et fatigué, et mes paumes sont couvertes d'une boue qui ignore mon nom - suis je doué pour créer des anagrammes ? - et il est peut-être temps que tu me coupes le souffle et que tu crées un autre homme, sans côtes. Qu'il reste seul! _____________ Sei stato tu - non lo dimenticare - a insegnarmi a non chiudere gli occhi sull'alternanza dei contrari. E quando mi prometti la terra io ben so che nel

Poesie tratte dalla raccolta inedita "Il corpo necessario" di Daniele Gigli

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  L'AUTORE - RITRATTO 1. Il fremito è lo stesso, il solito – quello che da decenni ti tormenta e ti si attacca sulla bocca dello stomaco al risveglio, aperti gli occhi, quando per un istante sei l’Adamo il sesto giorno e poi non più, e il gorgo di memoria e di incombenze ti soverchia e ti si para lì davanti – ecco il mattino: esigere, volere. Bisogna essere ben spudorati a vivere – a vivere, non a eseguire, mentre ogni cosa grida vanità e scelta di vento. Eppure… Questa felicità, quanto è indecente mentre là fuori soffrono e s’ammazzano – guerra nei corpi, guerra nelle menti. E infatti è sempre ansiosa, in bilico, perforata da un non detto che ci scava e sgretola e consuma. Questa felicità che sembra di cristallo e che non osa, che non si dice ad alta voce e teme – il passo delle cose, lo scorrere del tempo, l’invidia del demonio che ringhiando osserva. 2. L’antica inimicizia si risveglia con un alito di vento – basta un’ombra a volte, un fuoco vergine che sbriglia il desiderio «è

(Redazione) - Dissolvenze - 26 - Toolbox

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  di Arianna Bonino Allora, considerando che, come tutti sappiamo, capita con una certa frequenza di dover dimostrare l’isocronismo della caduta di corpi lungo una spirale, ecco le istruzioni per costruirsi lo strumento atto a tale scopo: 1. Rispolverare l’attrezzatura da bricolage e creare una base esagonale di legno  (per rispolverare si può soffiare, certo. C’è solo da considerare che s’alzerà un pulviscolo di cristalli e ricordi, ma tant’è) 2. Fissare alla base esagonale di legno sei aste di ottone ricurve che, unendosi in un vertice comune, formino un paraboloide  (la creazione dal nulla di strutture complesse e intricate, si sa, è un gioco da ragazzi: siamo tutti esperti in materia) 3. Avvolgere a spirale una coppia di fili metallici, in modo da formare un binario che sale dalla base alla sommità dell'apparecchio  (l’elettricità ha un ruolo fondamentale nella dinamica di ciascun esperimento. È da una scintilla che tutto sempre prende il via) 4. Al vertice del paraboloide coll

(Redazione) - Conversari - 02 - Due occhi di merlo

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  di Maura Baldini La sua poesia non fa rumore, non accenna all’enigma, non rovescia gli occhi con colori sgargianti, non lascia sgomenti; si posa, invece, sulla tavola ancora apparecchiata, sul guanciale spiumato dall’uso. Talvolta avvolge di gelo il cuore, come quel buio che entra inatteso negli occhi, quando la giornata ci pare ancora lunga e invece è finita. E, come ogni fine, ci atterrisce, interrando la speranza, per poi farla germogliare ancora nel riverbero di una candela accesa durante un temporale. Thierry Metz , nato a Parigi il 10 giugno del 1956, non s’inerpica sul verbo come i poeti accademici, gli sperimentatori per opportunismo, ci lascia, invece, addosso la fatica della parola frugale, eppure esatta e aggraziata come il suo sorriso, filo di luna su un volto massiccio, presto sconquassato dall’alcol. Il poeta ci conduce nell’alchimia di giorni tutti uguali, nel peso della manovalanza del lavoro e della vita, ci poggia sulle spalle il cappotto della fatica, e talvolta qu

Impellenza (ascoltando Chopin)

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  Foto del grande maestro Man Ray Mi dici:  "scrivi" e ignori il mio sguardo perso su un mare di rimpianti e l'onda di silicio e la memoria dei canti. Mi dici  "scrivi" mentre la mano trema e il gatto miagola da un aldilà  di tetra confessione. Mi dici:  "scrivi" e la porta cigola su cardini millenari e male oliati, mentre tu mi dici:  "scrivi" come se la scrittura fosse  atto di presenza e non d'evanescenza al mondo. Mi dici  "scrivi" e uccidi ciò che resta d'un nome ambiguo nel solco tracciato dall'aratro della Storia.  Mi dici:  "scrivi" e io scrivo, schiavo, ancora una volta, d'un detto - in lingua arcana.  Tu vuoi che apra quel cassetto e mi dici:  "scrivi" e sorridi del mio volto trasfigurato e delle voci di nani  che abitano nei suoi legni.       Era gente piccola      invasa da un sogno  di pienezza      quasi disumano;      gente dal volto strano      e dal profilo di luna      calante ch