(Redazione) - Muto canto - 08 - Anime Baltiche

 
di Anna Rita Merico

Lì dove si dice di disseppellimenti di memorie e ondivaghe gelide realtà.
di Anna Rita Merico


Lascio che due testi si guardino tra loro e dalla piega del Loro sguardo ne tiro parola appena accennata. Dei territori europei del nord-est mi affascina la velocità dei passaggi della Storia all’interno del secolo andato e di come e quanto, ogni passaggio, abbia creato mutamenti radicali in generazioni di donne e uomini. S’affastellano, dunque, queste voci che ci giungono ovattate da una dimensione che, a noi, non è dato conoscere se non per flash, corrispondenze, archivi ora aperti, carte de-secretate. E li scorgiamo a narrarsi attraverso tracce e segni di fughe, di perdite, di dissoluzioni. Impigliati nei venti di una Storia che ha soffiato come buran incessante travolgendo sguardi e pensieri. Una Rivoluzione che ha ucciso i suoi stessi rivoluzionari e ha divorato occhi e bocche rendendo silenzi e mutismi.

I testi in dialogo a specchio sono: un viaggio, quello di Jan Brokken ed un’antologia poetica d’autori lettoni.

“L’immedesimazione di Margarethe von Trotta in Sophia è totale. Come Marguerite Yourcenar, anche lei si sentiva segretamente coinvolta nella vicenda: sua madre discendeva da una famiglia aristocratica russa.
Sul marciapiede della stazione Sophie è una donna invecchiata, che ha perso tutte le illusioni. L’ultimo fotogramma riassume la sua rovina: una stazione abbandonata in un paese perduto.
Viaggiando per l’Estonia, la Lettonia e la Lituania ho incontrato decine di stazioni come quella, e ogni volta mi vedevo davanti Margarethe von Trotta, alias Sophie…”1

E, ancora oggi, continuiamo questo lavoro di scavo come spalatori dell’immensa pianura siberiana dell’anima. E i nostri reperti non sono più Lyuba o mummie di antiche principesse tatuate calate in pozzi ma la labile ricostruzione di storie di anime tormentate dai venti di eventi che hanno toccato identità e luoghi deviando ogni possibilità immaginata.
La poesia, in quelle latitudini, dopo il 1989. Occhi inizialmente spalancati sull’Occidente sognato. Poi il viaggio nella memoria acuta. Poi gl’indipendentismi e i cocci sbeccati di imperi, cocci che da schegge morte hanno preso a mostrare una narrazione altra dalla nostra. Ci sono giunte narrazioni e mondi tutti centrati su questioni identitarie e distacchi da modelli egemoni. E’ poesia lenta che pare uscita fuori dalle beghe di una depressione in cui è gesto stentato forarne la nebbia.
Il testo è di Sergej Timofeev (nato nel 1970, fa parte del Gruppo Orbìta fondato nel 1999, a Riga). Occhio distaccato che lascia scorrere la realtà come se fosse tutta improntata su una vecchia bobina cinematografica dipanata, dal tempo giallognolo di una tonalità alterata da un filtro che crea dominante non di colore ma emotiva. Quella di Sergej Timofeev è una scrittura che si stende tutta dietro stacchi e allontanamenti. Siamo negli anni successivi all’indipendenza dall’ex URSS (1991) e il contesto geografico di questo poetare è quello della Lettonia post-sovietica. Testi con nulla di soggettivo, sempre tanta quotidianità che galleggia come onda a mezz’aria e sbarramento di allusioni e alterità.

Il piano B
Giovanotti superficiali
Del periodo della stagnazione sovietica
Uscivano sulla neve con le bottiglie di spumante
E con i rametti argentati delle stelline scintillanti.
Le loro figure con pelliccette marroni
E con lunghe sciarpe fatte a maglia,
Con stivaletti con la lampo e le lucciole
Scintillanti delle sigarette di pessima qualità campeggiavano
Sotto i lampioni fiochi accanto alle case di legno
Fatte di assi allungati, verniciati di marrone chiaro.
Essi suscitavano orrore e indignazione nei pensionati,
Che li osservavano attraverso i vetri appannati
Delle finestre delle cucine illuminate da semplici lampadine,
Essi ridevano a crepapelle e cadevano nella neve, la mangiavano,
Accompagnandola a sorsate da ampolle acidule, tiravano
Palle di neve ai segnali di divieto di transito e di parcheggio.
Perché il tempo in quel periodo si avvolgeva su grandi bobine
Di nastro magnetico, custodite nei sotterranei della CeKa in via Engel’s,
Enormi, che praticamente non si consumavano mai, inventate
Alla Kolyma da scienziati prigionieri. Inesauribili riserve
Di tempo inutilizzato venivano gettate nei fiumi della Siberia,
Venivano bruciate nelle caldaie dell’esercito, venivano coperte
Con il cemento del muro di Berlino. I reattori dei sottomarini lanciamissili
Funzionavano proprio a isotopi di tempo. E quando la sua massa
Critica superava pericolosamente il limite, d’un tratto

“Tutti gli appartamenti hanno la stessa struttura: le cucine e le scale per il personale di servizio sul retro, le sale di rappresentanza e i salotti, destinati ad impressionare i visitatori, sul lato strada. Per Ejzenstejn figlio, già questa ripetizione era motivo sufficiente per disprezzare il padre.”2

<(Michail Eizenstejn) era un grand’uomo con una visione ampia>, dichiarò l’attore Maxim Strauch dopo la morte del regista. <Ma dai tempi di Riga, quando l’ho conosciuto, la sua vita ha avuto uno svolgimento tragico. E’ sempre stato in cerca di una casa, senza mai sapere cosa fosse.>3

E le esistenze di uomini comuni divenivano d’intercambiabile spessore e materia. E le esistenze di intellettuali colavano giù da chine impensabili. La casa senza sapere cosa fosse o, anche, dove fosse? Quei mattoni rosso-ruggine che perforavano le pupille, quelle luci giallognole nel silenzio di un silenzio irreale. Intabarrati in cappotti improbabili e con il capo coperto da colbacchi di astrakan. Noi, oggi, assaggiamo sempre più le profondità di questi tragitti pur se, ne sapevamo.

Nelle vie di decine di città si riversavano simultaneamente gruppi di giovani superficiali
La tensione scaricata si depositava come lustrini di capodanno
Sui manici delle chitarre a sei corde prodotte nella DDR. Nell’aria
Si avvertiva distintamente odore di elettricità. La luce dei lampioni
Stradali sfarfallava. E per un po’ di tempo nelle immediate vicinanze
Si percepiva un chiarore incredibile. Molti ancora oggi
Descrivono quest’esperienza come <giovinezza>. Gli stessi
Momenti nei documenti ufficiali figurano come <Piano B>.4

E guardiamo questi versi in cirillico. Maiuscole, punti, versi lunghi e la narrazione di un mondo racchiusa in una periferia di gesti parchi e allungati. Finestre tutte uguali come opercoli su vite trasparenti in cui alcool e ripetizioni e aborti del pensiero gravitano nel dentro di opache possibilità.

Poi c’erano le cose: ad esempio cantare in un coro del sindacato o la salsedine dei mari del Nord che incrosta ogni muro o le purezze intatte di un romanticismo che stenta a mutare in altro o le assolute mancanze di creatività architettonica o quel confine infinito da dover superare o quell’improponibile colletto alla russa o.
“Durante il tragitto, il tassista estone mi rivolse solo due parole: <Welcome> e <Jakobson>. Dopo quaranta chilometri lasciò la strada principale e imboccò un sentiero. Vicino ad un mulino ad acqua scendemmo dall’auto ed entrammo in una tenuta. C’era un silenzio perfetto che faceva pensare che il cielo fosse tappezzato di velluto. L’Estonia ha le stesse dimensioni dei Paesi Bassi ma ci vive un decimo della popolazione. Forse era per quello che il cinguettio degli uccelli sembrava meno rumoroso…”5
Provare a ripensare l’anima nordica, di un Nord tutto spostato ad Est. Provare ad annusare l’aria gelida di un tempo tutto abbarbicato nella sospensione di una poesia che vuole abbattere limiti nominando l’immenso di un vuoto che dondola tra un dentro e un fuori dell’essere. Una poesia che ama percorrere l’impraticabile e il desiderio. Una poesia tutta racchiusa in un’aurea a tratti, ancora, per noi poco conosciuta nella sua interezza e complessità ma, tanto amata per le corde del sentire che ci tocca, in vibrazione.
NOTE

1 - Jan Brokken, Anime baltiche, Iperborea 2014 pg 287. Il riferimento è al film Il colpo di grazia di Volker Schlondorff del 1976. Sceneggiatura tratta dall’omonimo romanzo di Marguerite Yourcenar. 
2 - cit pg 62
3 - cit pg 97
4 - Il testo poetico Piano B di Sergej Timofeev, è tratto da Deviando sollecito dalla rotta (a cura di Massimo Maurizio), Stilo Editrice, pg 89
5 - Anime Baltiche, cit pg 16




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