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Visualizzazione dei post da aprile, 2024

(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 31 - Declinare il silenzio - in dialogo con una poesia di Avraham Ben Yitzhak e per aprire a André Neher

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  di Sergio Daniele Donati Dice il Poeta: Quando si spegneranno i rossi falò della nostra vita ci toglieremo dalla fronte la ghirlanda delle feste con le foglie scompigliate e le rose cadenti, poi in silenzio scenderemo ai fiumi. Al declinare del giorno ci fermeremo sulla loro sponda inseguendone con gli occhi la corsa, – loro, gli abbandonati e infinitamente orgogliosi della propria solitudine. E circonfusi dal rossore del crepuscolo commossi guarderemo, ed ecco arrivare fiori, fiori bianchi recati con tutti gli onori sul pelo dell’acqua – rapiti dai margini di un giardino felice per scherzo a mezzogiorno. Allora sapremo: davanti agli occhi ci è passata la nostra giovinezza. E quando il ricordo tramonterà dentro di noi s’allungherà, si scurirà una dolente ombra di salici sul nostro capo. E tuttavia lassù sorgerà stella dopo stella sulla cima dei monti, santificando una notte grande ed estranea su di noi, e un vento serale ci toccherà gemendo come suonasse violini neri. Avraham Ben Yit

Lettere a una persona speciale - 62 - Aprile 2024 - "Un giullare"

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  Che poi lo sai. Mi basta chiudere gli occhi e dare spazio al senso che più mi parla o, forse, dar senso alla parola solo quando è figlia di un ascolto sovrano.  Sono lento e lenta è la mia intuizione, se e quando si manifesta.  E per farlo, lo sai bene, quel trillo che ogni tanto mi porta a pucciare piedini d'infante nel fresco fiume dell'Altrove, deve saper tagliare come forbice le dense coltri, le nebbie che mi offuscano il cervello.  Che vuoi che sia il mio sforzo di lombrico per drizzare una schiena che non posseggo alla ricerca dell'idea della luce?  Un canto? Un soffio? Un contatto fuggitivo con l'epitelio dell'amore? E che dire di questo mio  — troppo mio —  sentirmi indegno delle parole che mi abitano, incapace di null'altro che non sia un balbettio scomposto? O sì, mi prendo sempre in giro, e circumnavigo ogni giorno la circonferenza della mia seriosità crassa, per trovare un varco ove insinuare quell'ago che mi sgonfia l'ego. Il «gioco di pa

(Redazione) - Lettera aperta di Sergio Daniele Donati a Raffaela Fazio: su «Parlerò io - Il canto di Giobbe» di Raffaela Fazio Tratto da Midbar (Raffaelli ed., 2019)

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  E quel tuo imperativo iniziale , quel tuo ricordati, quel tuo ebraico  זכור (traslitt. " zahor"), richiamo alla memoria, è canto antico , sai? Ché l'uomo nasce nell'oblio e all'oblio aspira e la memoria è, appunto, monito, impegno e fatica: nulla di meno naturale: Nous sommes nés pour effacer les traces  de la mémoire sous la neige de l'oubli. Juste une voix lointaine, c'est ça le passé; juste une lueur dans la nuit; c'est ça le parfum âcre de notre avenir. Io non so dirti il perchè di queste mia parole in francese, né la ragione delle lacrime che la lettura del tuo testo mi ha dato, ma so che tu ricordi e, senza saperlo,  fai tue le memorie del deserto che mi ha formato.  In quel מִדבָּר (traslitt. "midbar), fucina di ogni parola, di ogni elevazione e di ogni trasformazione, io mi spezzai le ossa per poter rinascere, servo felice della stessa parola.  Fu in quel deserto di sogno che sentii il  canto della Moabita farsi strada nei miei midolli

Due poeti allo specchio (Luisa Trimarchi e Sergio Daniele Donati)

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  Luisa Trimarchi Stanza VII Raccolgo e mi raccolgo nella stanza - non ultima - la settima dove intravedo sul tavolo il tuo corpo mai nato: che capelli avevi? E gli occhi? E il tuo ridere? Ti ho parlato per notti intere - cercata nelle tombe dei bimbi morti - dove accarezzavo le foto. Il cimitero luogo perduto - mai visitato se non adulta negato nella memoria antica - memoria di effigi - storie intrecciate a epiteti perfetti - intagliati - tratteggiati come con lo scalpello - di foggia pregiata - angelo innocente vita appena intravista: del tuo corpo morto nessuna traccia. (ti avranno incenerita? Ah la retorica, maledetta retorica! Non si piange - salva sia la dignità - cerca la parola che non gridi ma che effonda!) Addormentavo bambole bambine sognando sorelline: tagliuzzavo capelli - cucivo copertine con buchi enormi mi accompagnavo alla solitudine dei giochi. (fra me e me - attendevo miracoli - scorgevo l’invisibile - mi accompagnavo alla desolazione nutrendo desideri: un giorno tu

(Redazione) - Dissolvenze - 30 - Otto

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  di Arianna Bonino 06.50: La sveglia per andare a scuola ce la dava il nonno, che accendeva il fornello molto prima perché si scaldasse, come se stesse facendo prendere corpo e fiamma ad un piccolo falò, imponendo un passato remoto di gesti al futuro che lo aveva travolto, personificato in quella cucina economica di formica azzurra e bianca. 07.00: Un silenzio di versi e sbadigli si spandeva per casa: erano i nostri, tre piccoli mostri, tre bestie cieche impigliate nel sonno. 07.10: Il mio corridoio saputo a memoria, il gioco segreto dei passi sui visi di marmo inventati: 1-2-3: sinistro sul verde, poi il destro sul bianco x 2 e poi ancora verde, bianco, bianco, verde. “Prima che il gallo canti, ti avrò perdonato tre volte”, storpiavo contando. E non capivo. 07. 20: Per anni il caffè è stato solo il suo odore. Mio era il latte, di me che non ebbi il primo mai, né dopo. Sgorgava in fiotti sbagliati da strane mammelle-piramide. 07.30: La mano segreta pescava nel sacco: sfioravo le

Beethoveniana (sulla settima sinfonia)

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  Sai che si alzano  fumi verticali di lontano?  Presenze di umana distanza,  in una natura che, verde, aspira al tramonto  ocra del pensiero. Volevo celarmi ancora tra le pieghe di quei suoni, ma i corni incitavano al ritorno, la veste strappata per il lungo viaggio, e i flauti restavano legati a una speranza di rinascita senza voce.  Io non so perché  mi parli d'amore mentre l'erba cresce indifferente  e il seme non sa che solo la sua morte,  un abbandono senza strappo,  donerà al mondo un nuovo virgulto.  Io non so perché mi chiedi com'è che io torni, inesorabile, a osservare un passato mai esistito e non posi mai il mio sguardo sulla falsità della primavera. So che mio è il canto nostalgico, il racconto senza sosta  del languore dell'antico, il sospiro d'addio di un popolo  troppo a lungo restato imperituro.  Ci diciamo vivi  ma disconosciamo le sabbie che hanno forgiato i nostri pensieri e le schegge di roccia che contengono i segreti dei nostri silenzi. E tu m

A proposito della raccolta di Daniele Ricci "Lezione di meraviglia" (peQuod ed., 2022) - nota di lettura di Sergio Daniele Donati

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Un vero piacere per la Redazione de Le Parole di Fedro potersi soffermare sulla raccolta " Lezione di meraviglia " (peQuod ed., 2022), del poeta Daniele Ricci . Una scrittura la sua che traccia sempre linee chiare e malinconiche tra un vissuto personale e il riflesso e richiamo che questo può avere su un universale battente . Il poeta, in altre parole, si pone nella terra di confine tra osservazione/percezione e rielaborazione e il suo tingere questo percorso di nostalgiche sfumature pastello non può che rendere compartecipe il lettore del  dato di abbandono che ogni osservazione - e anche ogni scrittura - porta con sé. Nella lettura delle sue composizioni il senso di una perdita che, tuttavia, innaffia il terreno della consapevolezza, è dunque sempre presente. L'elemento poi di poetico abbandono è confermato dalla struttura dell'intera raccolta in cui il tema guida del viaggio   è molto presente.  Viaggio, quello del poeta, che, come dovrebbe essere ogni viaggio,

Sinagoga - Un sogno

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"La lotta con l'Angelo" di Eugène Delacroix   Resta la brina  sul ricordo di quell'abbraccio, sulla penombra di quel luogo  in cui il sacro si mescolava con l'odore dei nostri epiteli. Eri più vecchia e io, senza tempo, privato del tempo per dire del rimpianto e della nostalgia. «Mi sei mancata» , dicevo. «Ti amo ancora»,  rispondevi. Ma c'era poi quella presenza; il volto coperto da un velo di lino nero stava alla finestra  e prendeva in foto un luogo che vieta le immagini, dietro a un vetro che piangeva gocce di pioggia novembrina dense come colla. E il tuo spavento  e la mia rabbia mentre fustigavo il vuoto  con rami secchi intrecciati, pesanti come il marmo. Poi l'urlo strozzato in gola -  la mia -  «ti faccio vedere io cosa significa fotografare il vuoto», urlavo alzandomi.  Figlio del sogno ho lottato anche io contro il vuoto e ho perso l'attimo per dirti che anch'io ti amo ancora.  Là, in una sinagoga  abitata solo dal nostro incontro palind

(Redazione) - Non alla poesia, non al poeta...alla «parola» - lettera aperta a Mirea Borgia a proposito della raccolta "Ismi" (Il Convivio ed., 2024) - una "non-nota di lettura" di Sergio Daniele Donati

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  Non alla poesia, non al poeta...alla «Parola». Questo volevo dirti, Mirea, dopo aver letto la tua raccolta " Ismi " (Il Convivio ed., 2024).  Ché forse siamo tutti presi da un imperativo tiranno che ci porta a cercare di definire il piccolo di fronte all'eterno  —  o all'abisso  —  che si dipana davanti ai nostri occhi. Umano, teneramente troppo umano, ridurre il reale ai limiti della nostra retina, Mirea.  Ma, leggendoti e soffermandomi sulle nenie senza tempo che proponi al lettore, io l'ho sentito quel richiamo. Ed era sottile e tenue, celato nelle tue ripetizioni, nell'ossessione di un avvilupparsi di lemmi alla ricerca di significanti: la Parola, prima della poesia, infinitamente prima del poeta. Hai ridato valore e spiegazione allo stento di una parola che sorge da lande melmose per divenire scia celeste, come sempre avviene; non senza fatica, non senza affanno. «La parola così poco umana da divenire Umanità» — questo pensavo leggendoti, ché in questa

Due poeti allo specchio (Laura D'Angelo e Sergio Daniele Donati)

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  D'estate Qui c'è aria di primavera, eppure lo sento il desiderio che mi spinge a dirti, in cerca di un tuo cenno, di un tuo presente che sia tu, tu e tu soltanto. Fuggono questi anni e i fiori nuovi mi dicono che ancora un altro è passato, mentre cambiano le stagioni e le ombre dei ricordi si fanno più dolci. Mi baci e sei l'estate. (Laura d'Angelo - inedito 2024) L'incontro Nasce sempre da un profumo — un'ombra sottopelle, un'ambra di memoria — il desiderio di un incontro. E poi, lo sai, non dà cenni né attende invito il mistral sulla costa. Prendi delle mie parole, delle mie lettere bislacche, il vuoto di senso e lascia che parlino la lingua dei fiori di miseria ai tuoi lobi abituati al canto del sacro. Non ho altro dono che l'arte dell'inciampo; un bambino caduto di bicicletta che si preoccupa più del graffio sul manubrio che del ginocchio scorticato; questo sono io, e tu il mare. (Sergio Daniele Donati - inedito 2024) _____ NOTE BIOBIBLIOGRAFI

A proposito della raccolta di Enzo Cannizzo "Il cielo pende dai lampioni" (Algra Editore ,2020) - "non nota di lettura" di Sergio Daniele Donati

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  Dice il poeta  Enzo Cannizzo  (1) 2 ottobre ci prende per mano tra i bagliori dei parabrezza e lo schianto dolcissimo di un altro mattino piove in piazza roma una ragazza si stringe al dizionario e a me pare che in quest'assenza d'interpunzione prenda vita l'eterno gioco, quel nostro vivere il reale come una sequenza senza fine di immagini a cui, alle volte, non siamo in grado di dare che una descrizione minima, fugace. Perchè nel dire senz'altro aggiungere brilla sempre un significato ulteriore e, se volete, un gesto che ridona libertà - quindi è gesto di liberazione - il lettore dalle sue stesse catene.  C'è, in altre parole, nel dire senza attribuire che scarsi e incisivi aggettivi alle proprie parole, un'elevazione etica che lascia all'interprete il commento.  E questo ci fa stringere, come la ragazza sotto la pioggia, alle parole, alla loro potenza liberatoria, soprattutto se le stesse ci vengono donate come una essenza in sé.  E aggiunge il poeta: 13