Nota a margine di una poesia tratta da "Il generale inverno" (Il Convivio editore, 2021) di Gabriella Grasso - di Sergio Daniele Donati

 




La poeta dice nella sua magnifica poesia Fame di vita ["Il generale inverno" (Il Convivio editore, 2021)]

Agguantarla
raggiungerla a una passo
e restare al di qua
scricchiolante il terreno
franoso incognito
tradimento
E invece agguantarla
balzare
raggiungerla
spuria
con lo scatto dei nervi
afferrare
il suo strascico iridescente
quasi inutile
come coda di una cometa
o corda lanciata nel buio
di una grotta a molti segreta

Mi aggrapperò
a questa fame di vita
lascerò che mi faccia da guida
che apra un valico chiaro
un indizio di cordata smarrita

Nei tre anni passati dall'uscita di questa splendida raccolta ho tenuto per me riflessioni su questo testo che tornavano, come onde, di lontano, pensieri che si situavano tra una filosofica presa di posizione, solo parzialmente antagonista al testo e un'ammirazione smisurata per ciò che appare essere, molto prima che un bellissimo testo poetico, un assunto etico di grande importanza. 
Perché, forse inconsciamente, tutto questo nostro - molto anche mio -  affanno a parlare della vita, quasi che gli accadimenti del nostro esistere necessitassero un più grande sistema di riferimento, una scatola entro cui far resistere un sistema le cui regole non comprendiamo mai del tutto, è qualcosa di molto estraneo a me e al mio pensiero.
Eppure quella fame di ordine e di comprensione la viviamo tutti, quella necessità si poter spiegare il nostro rapporto con il dono della vita è di tutti noi. 
Siamo tutti noi dentro la vita ma a un passo soltanto dalla sua comprensione. 
E non ci resta che il tuffo, come testimonianza del nostro tenace limite e tensione ad un tentativo spurio ed umano di ap-prensione, solo per arrivare a sfiorare di quel sistema vitale che ci tiene in piedi il lembo strascicato.
In fondo la poeta ci dice del nostro limite e del nostro desiderio di un valico, su un crinale molto stretto tra due abissi: da un lato quella della perdita del senso di sé stessi e, dall'altro, quello della pretesa di una comprensione in fondo strutturalmente impossibile.
E la fame? Ecco la fame, è l'elemento che mi spinge  ricordarmi chi sono, anche nei confronti di una parola despota, che sa che tasti toccare per farmi muovere.
In questa poesia c'è tutto questo e, soprattutto, c'è Sergio che ha aspettato ad attendere che un testo radichi il suo seme per anni prima di poterne parlare. 
Sempre più ne sento la spinta. Un lentezza che questo testo mi ricorda. La capacità, prima del balzo di saper attendere perché quel singolo passo deve vivere la sua attesa, perché non si può parlare di di un germoglio di pensiero troppo presto, prima che sia alberello, e poi albero. 
Un testo che ho annaffiato nel silenzio per anni e ora so cosa mi trasmette e capisco anche la mia iniziale resistenza che non era al testo in sé, ma al mio impulso a dirne subito. 
Quindi, volente o nolente l'autrice e amica Gabriella Grasso, per me un testo iniziatico e di conferma della via della lentezza che mi sono dato come scelta etica nei confronti della poesia.

Ti ringrazio, Gabriella, dal profondo.

Sergio



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