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Visualizzazione dei post da marzo, 2021

Dialoghi poetici coi Maestri - 3. Konstantinos Kavafis

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Konstantinos Kavafis  - Immagine di repertorio MURA Senza riguardo, pudore, compassione mi han costruito alte mura tutt'intorno. E ora sto qui seduto a disperarmi. Non penso ad altro: mi rode questa sorte; perché avevo da fare molte cose fuori. Mentre la costruivano, come non mi accorsi? Non udii mai strepiti e voci di muratori. Inavvertitamente mi hanno escluso dal mondo. (Konstantinos Kavafis - tratto da "Poesie scelte" 2025 Crocetti Editore trad. dal greco Nicola Crocetti) LE DIMORE Ogni ritiro è foglia e linfa, e sudore su palmi, meticci. Non mi appartengono quei palmi, né le mani. E dimorano nei miei polmoni ossigeni altrui. Trovo riposo in cucine, tra odori di spezie inusuali. E suoni di lingue sconosciute cullano il ricordo di me bambino. Il luogo del mio ritiro è dove il mio nome non varca soglia. Perché fu nella lingua dei miei avi che il palato di mio padre pronunciò quel nome, luce rifiutata d'un seme di coscienza. (Sergio Daniele Donati - 2021 Inedito)

Dialoghi poetici coi Maestri - 3. Konstantinos Kavafis

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Konstantinos Kavafis  - Immagine di repertorio MURA Senza riguardo, pudore, compassione mi han costruito alte mura tutt'intorno. E ora sto qui seduto a disperarmi. Non penso ad altro: mi rode questa sorte; perché avevo da fare molte cose fuori. Mentre la costruivano, come non mi accorsi? Non udii mai strepiti e voci di muratori. Inavvertitamente mi hanno escluso dal mondo. (Konstantinos Kavafis - tratto da "Poesie scelte" 2025 Crocetti Editore trad. dal greco Nicola Crocetti) LE DIMORE Ogni ritiro è foglia e linfa, e sudore su palmi, meticci. Non mi appartengono quei palmi, né le mani. E dimorano nei miei polmoni ossigeni altrui. Trovo riposo in cucine, tra odori di spezie inusuali. E suoni di lingue sconosciute cullano il ricordo di me bambino. Il luogo del mio ritiro è dove il mio nome non varca soglia. Perché fu nella lingua dei miei avi che il palato di mio padre pronunciò quel nome, luce rifiutata d'un seme di coscienza. (Sergio Daniele Donati - 2021 Inedito)

Iod (in tre versi)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Sono piccole e sottili e strette. Fiamme d'ambra nei sogni dei nostri figli. Foto di Sergio Daniele Donati

Iod (in tre versi)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Sono piccole e sottili e strette. Fiamme d'ambra nei sogni dei nostri figli. Foto di Sergio Daniele Donati

Tet (in tre versi)

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Tet (disegno e foto di Sergio Daniele Donati) Di nove argille si compone il creato. L'ultima sigla il patto e dona i ritmi  alle danze delle donne, d'estate.

Tet (in tre versi)

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Tet (disegno e foto di Sergio Daniele Donati) Di nove argille si compone il creato. L'ultima sigla il patto e dona i ritmi  alle danze delle donne, d'estate.

Sbagli

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  "Sali o scendi?" foto di Sergio Daniele Donati Ciò che nasce storto non si raddrizza certo solo perché un raggio di sole lo illumina . Questo pensava mentre aspettava l'autobus alla fermata. E di tutte le sensazioni di rinascita della sera prima non rimanevano che tracce mendaci. Del vuoto che si colma, del vaso - da sempre crepato - che trattiene finalmente liquidi d'oro, e si colora di nuova vita non restavano che cocci e teste; a terra. Ciò che nasce storto non si raddrizza certo perché un raggio di sole lo illumina. E i suoni ovattati della città, le risate dei bambini per strada, i colori e i profumi di una Milano dalla bellezza crudele, che in altri momenti gli avevano riempito di senso la vita, diventavano opachi e grigi. Nulla – ma nulla davvero – lo distoglieva da quel pensiero. La pelle, maledetta pelle, trattiene odori estranei e li mescola ai propri desideri. La sua pelle era ormai l'unica testimone di una notte di oblio, in cui tutto sembrava poter

Sbagli

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  "Sali o scendi?" foto di Sergio Daniele Donati Ciò che nasce storto non si raddrizza certo solo perché un raggio di sole lo illumina . Questo pensava mentre aspettava l'autobus alla fermata. E di tutte le sensazioni di rinascita della sera prima non rimanevano che tracce mendaci. Del vuoto che si colma, del vaso - da sempre crepato - che trattiene finalmente liquidi d'oro, e si colora di nuova vita non restavano che cocci e teste; a terra. Ciò che nasce storto non si raddrizza certo perché un raggio di sole lo illumina. E i suoni ovattati della città, le risate dei bambini per strada, i colori e i profumi di una Milano dalla bellezza crudele, che in altri momenti gli avevano riempito di senso la vita, diventavano opachi e grigi. Nulla – ma nulla davvero – lo distoglieva da quel pensiero. La pelle, maledetta pelle, trattiene odori estranei e li mescola ai propri desideri. La sua pelle era ormai l'unica testimone di una notte di oblio, in cui tutto sembrava poter

HISM (how I saved myself)

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  Fire dance (foto ricavata dal web) Ispirato al brano di Joy Grifoni HISM Inizia sempre con un mugugno. Un borbottio lento, per farsi intuire, celando le proprie perle dietro suoni gutturali e sgraziati. Arrivano poi dall'alto messaggeri e messi; annunciano raccolti e guerre, urlando a orchestrali svogliati cadenze e percussioni, ritmi e accenti. E prende ritmo un dire per non dire, il suono che tutto crea, la parola in movimento. Senza senso, né fil di lino, è in ogni parola la sola impellenza di parlare e nominare e emettere suono. È così che si salva il nocciolo senza tempo d'ogni scrittura; celandosi ritrosi - vergini sotto lo sguardo di desiderio di uomini vissuti - a ogni significato, soffiando su fili d'erba primaverile venti lontani, aedi dell'antico (nel presente). Fui testimone distratto, poi scudo e corazza, infine sciamano. Là, nella terra dove tutto si forgia tra colline di silenzio; dove il falco taglia il cielo che lo sostiene e l'ossimoro spezza la

HISM (how I saved myself)

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  Fire dance (foto ricavata dal web) Ispirato al brano di Joy Grifoni HISM Inizia sempre con un mugugno. Un borbottio lento, per farsi intuire, celando le proprie perle dietro suoni gutturali e sgraziati. Arrivano poi dall'alto messaggeri e messi; annunciano raccolti e guerre, urlando a orchestrali svogliati cadenze e percussioni, ritmi e accenti. E prende ritmo un dire per non dire, il suono che tutto crea, la parola in movimento. Senza senso, né fil di lino, è in ogni parola la sola impellenza di parlare e nominare e emettere suono. È così che si salva il nocciolo senza tempo d'ogni scrittura; celandosi ritrosi - vergini sotto lo sguardo di desiderio di uomini vissuti - a ogni significato, soffiando su fili d'erba primaverile venti lontani, aedi dell'antico (nel presente). Fui testimone distratto, poi scudo e corazza, infine sciamano. Là, nella terra dove tutto si forgia tra colline di silenzio; dove il falco taglia il cielo che lo sostiene e l'ossimoro spezza la

HISM (how I saved myself)

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  Fire dance (foto ricavata dal web) Ispirato al brano di Joy Grifoni HISM Inizia sempre con un mugugno. Un borbottio lento, per farsi intuire, celando le proprie perle dietro suoni gutturali e sgraziati. Arrivano poi dall'alto messaggeri e messi; annunciano raccolti e guerre, urlando a orchestrali svogliati cadenze e percussioni, ritmi e accenti. E prende ritmo un dire per non dire, il suono che tutto crea, la parola in movimento. Senza senso, né fil di lino, è in ogni parola la sola impellenza di parlare e nominare e emettere suono. È così che si salva il nocciolo senza tempo d'ogni scrittura; celandosi ritrosi - vergini sotto lo sguardo di desiderio di uomini vissuti - a ogni significato, soffiando su fili d'erba primaverile venti lontani, aedi dell'antico (nel presente). Fui testimone distratto, poi scudo e corazza, infine sciamano. Là, nella terra dove tutto si forgia tra colline di silenzio; dove il falco taglia il cielo che lo sostiene e l'ossimoro spezza la

Il buio acceso di Flavia Tomassini

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  Foto di Flavia Tomassini   Foto e inedito si pubblicano su gentile concessione dell'autrice Parla con me o non parlare affatto, stendi le lenzuola pulite nella stanza a fianco lascia per me un cuscino e chiudi la porta. Spegni il lume se ne tieni uno, che la notte consumi il buio e si accenda come la bocca che non hai baciato. Conoscersi fa paura. _________ BREVE NOTA BIOBIBLIOGRAFICA :Flavia Tomassini (Roma, 1985) ha pubblicato nel 2008 la sua prima silloge poetica “Muschio e Selva” edita da Il Filo. Suoi inediti sono presenti in rete su riviste e blog letterari fra cui “Critica Impura”, “Poesia Ultracontemporanea”, “Poetarum Silva”, “Larosainpiu”, “Poeti del parco” e “Transiti poetici”. Un suo testo è apparso nella rubrica “La Bottega della Poesia”, curata da Gilda Policastro, su La Repubblica.

Il buio acceso di Flavia Tomassini

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  Foto di Flavia Tomassini   Foto e inedito si pubblicano su gentile concessione dell'autrice Parla con me o non parlare affatto, stendi le lenzuola pulite nella stanza a fianco lascia per me un cuscino e chiudi la porta. Spegni il lume se ne tieni uno, che la notte consumi il buio e si accenda come la bocca che non hai baciato. Conoscersi fa paura. _________ BREVE NOTA BIOBIBLIOGRAFICA :Flavia Tomassini (Roma, 1985) ha pubblicato nel 2008 la sua prima silloge poetica “Muschio e Selva” edita da Il Filo. Suoi inediti sono presenti in rete su riviste e blog letterari fra cui “Critica Impura”, “Poesia Ultracontemporanea”, “Poetarum Silva”, “Larosainpiu”, “Poeti del parco” e “Transiti poetici”. Un suo testo è apparso nella rubrica “La Bottega della Poesia”, curata da Gilda Policastro, su La Repubblica.

Rinascita

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Foto di Sergio Daniele Donati   Tu non sai perché esisti, né sai da dove vieni; ma il bambù nelle sere d'estate ti parla, e in ogni istante respiri. Lumi lontani, non potevi che scorgere fuochi fatui del Vero. Eppure, nelle notti d'inverno il vento (messaggero) ti sembrava intonare lodi alla fertile assenza; e il bambù (suo scudiero) danzava danze guerriere su ritmi tribali. Luci sperse e buio interno, hai dovuto aerare radici profonde e fare di te stesso talea in nuovi suoli. Il tuo canto è ora Silenzio, il tuo sguardo abbraccia il grande e non trascura l'atomo. Canna di bambù ti sei piegato allora alla brezza del dolore, là, dove radici cieche e profonde hanno tratto nutrimento da ferite purulente. Perché tua è la facoltà di trasformazione. Là, d'improvviso, un solo suono è emerso dal suo sterno. E nel tuo sguardo bambino hai colto il senso crudele e profondo d'ogni separazione. Alla sensazione che ieri  chiamavi vera, oggi dai un nome diverso. E il tuo sgua

Rinascita

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Foto di Sergio Daniele Donati   Tu non sai perché esisti, né sai da dove vieni; ma il bambù nelle sere d'estate ti parla, e in ogni istante respiri. Lumi lontani, non potevi che scorgere fuochi fatui del Vero. Eppure, nelle notti d'inverno il vento (messaggero) ti sembrava intonare lodi alla fertile assenza; e il bambù (suo scudiero) danzava danze guerriere su ritmi tribali. Luci sperse e buio interno, hai dovuto aerare radici profonde e fare di te stesso talea in nuovi suoli. Il tuo canto è ora Silenzio, il tuo sguardo abbraccia il grande e non trascura l'atomo. Canna di bambù ti sei piegato allora alla brezza del dolore, là, dove radici cieche e profonde hanno tratto nutrimento da ferite purulente. Perché tua è la facoltà di trasformazione. Là, d'improvviso, un solo suono è emerso dal suo sterno. E nel tuo sguardo bambino hai colto il senso crudele e profondo d'ogni separazione. Alla sensazione che ieri  chiamavi vera, oggi dai un nome diverso. E il tuo sgua

Nella Fucina della Parola

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Che poi si cerchi anche il plauso dalla Fucina della Parola è cosa certa e antica. Un dire diretto per colpire in chi legge la vertebra dell'assenso. O, al contrario, un parlare sommesso lasciando intendere vi sia ben altro di non detto; solletico, questo, all'articolazione malsana della curiosità. La parola è costituita di materiale neutro, prezioso e grezzo nella Fucina della Parola; e là parlare (o scrivere) senza porsi il problema del limite (del detto o del taciuto), così rispondendo solo ad una legge antica e piccola che ci vuole schiavi di ciò che pretendiamo di dominare, è permearsi di una piccolezza che non giova a chi scrive, né a chi legge, né alla parola. L'Artigiano, pur miope, nella fucina raccoglie la gemma grezza e la pulisce da detriti millenari; bisbigliando formule sacre e antiche che ne risveglino il potenziale di stella o il ritmo costante della risacca del mare o profumi mediorientali d'eucalipto o mirto. Si dimentica l'Artigiano d'avere

Nella Fucina della Parola

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Che poi si cerchi anche il plauso dalla Fucina della Parola è cosa certa e antica. Un dire diretto per colpire in chi legge la vertebra dell'assenso. O, al contrario, un parlare sommesso lasciando intendere vi sia ben altro di non detto; solletico, questo, all'articolazione malsana della curiosità. La parola è costituita di materiale neutro, prezioso e grezzo nella Fucina della Parola; e là parlare (o scrivere) senza porsi il problema del limite (del detto o del taciuto), così rispondendo solo ad una legge antica e piccola che ci vuole schiavi di ciò che pretendiamo di dominare, è permearsi di una piccolezza che non giova a chi scrive, né a chi legge, né alla parola. L'Artigiano, pur miope, nella fucina raccoglie la gemma grezza e la pulisce da detriti millenari; bisbigliando formule sacre e antiche che ne risveglino il potenziale di stella o il ritmo costante della risacca del mare o profumi mediorientali d'eucalipto o mirto. Si dimentica l'Artigiano d'avere

Het (in tre versi)

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  Disegno e  foto di Sergio Daniele Donati Lo chiederà a te il cambiamento,  e tu sorridi, chi non ha coraggio,  né un passo bambino verso la Porta di Fuoco

Het (in tre versi)

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  Disegno e  foto di Sergio Daniele Donati Lo chiederà a te il cambiamento,  e tu sorridi, chi non ha coraggio,  né un passo bambino verso la Porta di Fuoco

Ti benedica - יְבָרֶכְךָ

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  Paul Klee - All'inizio A mio figlio Gabriel  e a chi ne sorregge i passi Lo chiedo a te che scivoli tra le pieghe di lemmi stentati, balsamo e olio sacro sulle ferite  d'un uomo piccolo, benedici quell'ossidiana pura e non ricada sul figlio l'inciampo del padre, e traggano giovamento dal soffio che crea gli accenni di peluria sulle sue labbra. Accolgano  i tuoi volti una voce che cambia e assume timbri di muschio e sgretola in briciole  sacre ricordi d'assenza. M'hai donato facoltà di procreare, ora incidi un solco profondo tra padre e figlio e siano d'ambra e oro antico i ponti stretti tra passato e futuro. Si rivolga alla terra del ritorno, solo dopo lungo viaggio verso lo straniero, il suo passo. E fa che dimentichi, e poi ricordi, un padre che inciampa e balbetta a ogni respiro, e dedica ogni sforzo a tornare eretto in tempo per vedere la tua pace e i tuoi volti volgersi al figlio, e dimenticarsi infine del mio nome. Sia perfetta ai tuoi occhi la trasm

Ti benedica - יְבָרֶכְךָ

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  Paul Klee - All'inizio A mio figlio Gabriel  e a chi ne sorregge i passi Lo chiedo a te che scivoli tra le pieghe di lemmi stentati, balsamo e olio sacro sulle ferite  d'un uomo piccolo, benedici quell'ossidiana pura e non ricada sul figlio l'inciampo del padre, e traggano giovamento dal soffio che crea gli accenni di peluria sulle sue labbra. Accolgano  i tuoi volti una voce che cambia e assume timbri di muschio e sgretola in briciole  sacre ricordi d'assenza. M'hai donato facoltà di procreare, ora incidi un solco profondo tra padre e figlio e siano d'ambra e oro antico i ponti stretti tra passato e futuro. Si rivolga alla terra del ritorno, solo dopo lungo viaggio verso lo straniero, il suo passo. E fa che dimentichi, e poi ricordi, un padre che inciampa e balbetta a ogni respiro, e dedica ogni sforzo a tornare eretto in tempo per vedere la tua pace e i tuoi volti volgersi al figlio, e dimenticarsi infine del mio nome. Sia perfetta ai tuoi occhi la trasm

Che poi, se manca

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Davìd di Gian Lorenzo Bernini (particolare)   Che poi, se manca l'apnea al sorriso, il balzo all'incontro, il silenzio alla parola, la vita stinge e scolora e acari invisibili ne corrodono la tessitura. Se manca un “eppure” alle nostre certezze, un “altrove” alla nostra dimora, una “sincope” ai nostri ritmi piani, la vita sbiadisce e infeltrisce e strappi d'usura ne lacerano il ricamo. Se manca lo sguardo ritroso al bello, la timidezza al gesto, la titubanza alla prima nota, la vita collassa e implode sotto il peso d'un sogno mal posto e immemore della balbuzie creativa del neonato. Si piega su se stessa la vita se manca la memoria, se vive di ricordo, se manca di slancio, se incapace di stasi. Si piega, come si piega un foglio di carta perché diventi aeroplanino da lanciare lontano.

Che poi, se manca

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Davìd di Gian Lorenzo Bernini (particolare)   Che poi, se manca l'apnea al sorriso, il balzo all'incontro, il silenzio alla parola, la vita stinge e scolora e acari invisibili ne corrodono la tessitura. Se manca un “eppure” alle nostre certezze, un “altrove” alla nostra dimora, una “sincope” ai nostri ritmi piani, la vita sbiadisce e infeltrisce e strappi d'usura ne lacerano il ricamo. Se manca lo sguardo ritroso al bello, la timidezza al gesto, la titubanza alla prima nota, la vita collassa e implode sotto il peso d'un sogno mal posto e immemore della balbuzie creativa del neonato. Si piega su se stessa la vita se manca la memoria, se vive di ricordo, se manca di slancio, se incapace di stasi. Si piega, come si piega un foglio di carta perché diventi aeroplanino da lanciare lontano.

Sparring partner

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  Dicono che sia nata prima la seconda gobba sul mio naso che i miei denti da latte. Parloai, scribacchini, gente capace solo di vedere negli altri un volto; alla volta. Io, certo, paro, colpisco e schivo e ogni tanto capita che aggiunga nuove gobbe al mio nasone. E rido, rido rido; ormai il mondo non ha più strumenti per farmi triste. Oh, sì, c'è stato un tempo (io lo ricordo) in cui il mio naso era dritto che sembrava la giusta ipotenusa per i cateti che congiungono labbro superiore e centro della fronte -  e centro della fronte e sopracciglia. Si è rotto - il nasone - per una disattenzione, forse. Avrei dovuto colpire prima io. Ma nel pubblico c'era lei, e non potevo vincere, che non è nelle mie corde ignoranti la stoffa del campione. Io per gli altri non vinco. Perdo per loro. Le prendo, resisto, mi rialzo e rido; per gli altri. E poco importa se in pochi capiscono il messaggio. Dicono, ridendo delle gobbe sul mio naso, che in fondo era scritto che non avrei mai vinto nient

Sparring partner

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  Dicono che sia nata prima la seconda gobba sul mio naso che i miei denti da latte. Parloai, scribacchini, gente capace solo di vedere negli altri un volto; alla volta. Io, certo, paro, colpisco e schivo e ogni tanto capita che aggiunga nuove gobbe al mio nasone. E rido, rido rido; ormai il mondo non ha più strumenti per farmi triste. Oh, sì, c'è stato un tempo (io lo ricordo) in cui il mio naso era dritto che sembrava la giusta ipotenusa per i cateti che congiungono labbro superiore e centro della fronte -  e centro della fronte e sopracciglia. Si è rotto - il nasone - per una disattenzione, forse. Avrei dovuto colpire prima io. Ma nel pubblico c'era lei, e non potevo vincere, che non è nelle mie corde ignoranti la stoffa del campione. Io per gli altri non vinco. Perdo per loro. Le prendo, resisto, mi rialzo e rido; per gli altri. E poco importa se in pochi capiscono il messaggio. Dicono, ridendo delle gobbe sul mio naso, che in fondo era scritto che non avrei mai vinto nient