(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 35 - In dialogo col Salmista #1
di Sergio Daniele Donati
Dice il Salmista in un passaggio del salmo 42 (versetto 9):
תְּהֽוֹם־אֶל־תְּה֣וֹם ק֭וֹרֵא לְק֣וֹל צִנּוֹרֶ֑יךָ כָּֽל־מִשְׁבָּרֶ֥יךָ וְ֝גַלֶּ֗יךָ עָלַ֥י עָבָֽרו
יוֹמָ֤ם ׀ יְצַוֶּ֬ה יְהוָ֨ה ׀ חַסְדּ֗וֹ וּ֭בַלַּיְלָה שִׁיר֣וֹ עִמִּ֑י תְּ֝פִלָּ֗ה לְאֵ֣ל חַיָּֽי׃
Ecco una mia traduzione il più fedele possibile al dettato letterale del testo.
L'abisso chiama l'abisso, urlando alla voce delle tue cascate; tutte le tue esplosioni e onde sono passate su di me.
Di giorno Egli comanda la sua benevolenza (su di me) e di notte il suo canto è con me; una preghiera al Signore della mia vita.
Ogni volta che mi soffermo su questo passaggio mi perdo e, allo stesso tempo, paradossalmente mi radico. E’ ciò che sempre avviene quando leggo i תהילים (trans. Tehillim - Salmi) (1) (2): immensa opera etica, poetica, psicologica della sapienza antica ebraica. Sono i Salmi che ci ricordano la necessità del movimento e dello spaesamento affinché la radice stessa possa attecchire.
È un testo che ci mette a confronto, in modo prorompente, con la nostra stessa fedeltà al testo. Ciò è accaduto così tanto che ne ha risentito la storia degli esiti della sua traduzione i quali, talvolta, sono divenuti talmente lontani dal suo dettato originario da snaturarne il senso.
Nel Testo prima viene descritto un D.o il cui abisso, come ondate forti ed esplosioni, sommerge l'uomo e la sua piccolezza con un abisso di immensità e, subito dopo, si introduce un D.o accudente, benevolo che canta di notte un canto rassicurante e tesse, lui a noi, preghiere per la nostra vita? Come può essere?
È talmente strano questo messaggio quasi dissociato, derivato da quelle traduzioni, che molti hanno rivoltato il testo e il suo dato letterale, traducendo:
"Io (l'uomo) di notte alzo un canto e prego D.o per la mia vita".
Questo sentire è tipico questo di una tradizione che sottende sottili, e nemmeno tanto, tratti antisemiti. Un sentire che trova più facile evitare di scontrarsi con un paradosso testuale anzichè rinunciare all'idea del D.o vendicativo, senza voler rimarcare la tenerezza di un D.o cantore per le sue creature, ben prima della nascita di Gesù.
In altre parole il D.o degli ebrei non può essere il D.o dell'amore, per quelle visioni.
Ed è qui che mi radico, e non solo. E’ qui che trovo le origini del mio stesso radicamento proprio all’interno dello spaesamento e della tenacia con cui un buon ebreo non rinuncia mai al dato testuale, pur se paradossale.
Se il paradosso è scritto, il paradosso dovrà avere un senso, anzi, e ancora di più, se il paradosso esiste è proprio lì che si crea la domanda e, quindi, il senso profondo di una ricerca ermeneutica.
Rileggiamo il testo. L'abisso che chiama l'abisso stesso non è del divino (non c'è nessun possessivo che possa attribuirgli quel dato) ma dell'umano.
Appare evidente nel testo che è la voce dell'uomo a chiamare la voce divina affinché si manifesti come cascata ed esplosione.
Come non pensare all'abisso (Tehom) che era prima della Creazione?
E come non pensare alla creazione stessa come un atto d'esplosione dirompente in cui l'elemento acqueo non abbia avuto un ruolo?
Quante acque troviamo nei primi versi della Genesi?
Allora, in questa lettura, il paradosso si mitiga immediatamente.
L'abisso umano trova risposta nella capacità dell'uomo stesso di chiedere e invocare un cambiamento che non può essere che rivoluzione, esplosione, big bang ri-creativo per la sua anima.
Un Uomo nell'abisso è un uomo che guarda in alto e in basso.
In basso per conoscere, con timore e tremore, ciò che deve abbandonare, la tenebra da cui deve uscire, e in alto perché sa che più profondo e buio è il suo abisso più potente dovrà essere la chiamata in ausilio e sostegno di forze che vanno oltre l'umano.
L'uomo che sa di essere nell'abisso, in altre parole, ha compiuto il primo passo di liberazione.
Quella coscienza difatti apre un varco, crea una pausa nella tenebra, una pausa all’interno della quale, l'invocazione sarà possibile.
Accade che, ad una chiamata così forte segua la risposta la quale si manifesta con la stessa potenza della chiamata.
È il principio di reciprocità.
Corro da te se urli "aiuto", se non mi chiami la tua necessità di soccorso rischia di non essere udita.
E poi, se devo rianimare un corpo che lotta tra la vita e la morte non è con le carezze che potrò farlo, ma con massaggio cardiaco e defibrillatore.
E questo, sia l'uomo che D.o lo sanno.
Dal limbo tra vita e morte l'uomo chiama la scossa elettrica, lo tsunami che rianima e dà nuovo respiro, e la risposta giunge.
Ma poi, rianimato il corpo, un D.o materno spande la sua benevolenza su un corpo di nuovo vivo e stremato dal cambiamento e canta per lui di notte un canto che lo rassicuri. Da cosa, di cosa?
La prima cosa che mi viene in mente è che sia necessaria una rassicurazione sulla tenebra.
La notte che un occhio appena rianimato dall'abisso vedesse potrebbe portare la memoria dell'oscurità da cui è appena uscito.
Ma quel brutto ricordo sì scioglie se un canto divino all'uomo rinato ricorda che quel nuovo buio è simile a quello del nascituro nel ventre materno, calmo e rassicurante.
Ecco perché benevolenza di giorno e canto di notte.
Il neonato uomo, il risorto è come un bimbo che da quella pacifica serotina oscurità dovrà trarre lezione, come da sempre l'uomo fa con le stelle e la luna, che in un certo senso sono segno di un canto divino.
Ecco perché mi radico.
Perché la via di comprensione di un testo paradossale non può essere per me fuori dal testo, e il paradosso si spiega vincendo i pre-giudizi che non solo impediscono al testo, ma anche a me, come interprete e lettore, di respirare.
Come sia potuto avvenire che il canto (e shir in ebraico significa anche poesia) di D.o, la nenia, la cantilena di consolazione verso un figlio rinato, sia diventata il canto dell'uomo come supplica di salvezza io no, non saprei dirlo.
Ma so che per il pensiero ebraico non ci si salva mai passivamente e in questo Salmo, in questo preciso suo passaggio, è chiara l'enorme facoltà tutta umana di chiamare forze potenti in ausilio. Senza chiamata nessuna risposta. Se chiamato correttamente, il divino risponde.
Questa è la lezione di libertà e rispetto di un D.o - i non credenti sostituiscano con la parola coscienza - verso le sue creature e figli.
Un distico in risposta al Salmista lo oso, sapendo appieno che il mio tentativo altro non può essere che la balbuzie di uno sdentato:
Dall'abisso più nero ho chiamato l'onda del cambiamento.
Ora mi cullo al canto di una madre premurosa.
(S.D.D)
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NOTE
1 - per la lettura dei Salmi in versione ebraica con traduzione si consiglia di visitare il sito di Sefaria che contiene moltissimo altro materiale di approfondimento sul pensiero e sui testi fondamentali dell'ebraismo.
2 - qualche notizia generale sui Salmi poi potrete trovarla a questo link.
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